Viaggio tra le opere di Gigi Guadagnucci

di Massimo Bertozzi

Quella di Guadagnucci è una scultura a tutto tondo, piena di sapori oltre che di forza e temperamento.
È in effetti la storia della sua vita: ecco così le sculture degli anni sereni, ma anche quelle dei giorni di inquietudine, e quelle dei momenti di nostalgia.
Ovunque affiorano residui dell’adolescenza, frammenti di immagini che troppo presto ha dovuto abbandonare, e che suscitano vaghe malinconie ma anche grandi sorrisi.

La leggerezza, che è uno dei valori più evidenti ed indiscutibili della scultura di Guadagnucci, ha sempre connotazioni precise e determinate, sfugge qualsiasi vaghezza formale, non si abbandona mai al caso.
Per questo imita la natura, e si sviluppa nell’aria per sfuggire alla pesantezza della materia e alle costrizioni dello spazio; quello che conta è in ogni caso vincere la forza della gravità, che appiattisce al suolo il nostro destino, e vorrebbe costringere il marmo all’inerzia di un sasso qualunque.
Ecco che nascono sculture che fin dai titoli, Meteora o Fuga o Angelo, dispongono una forte accelerazione del movimento e accentuano le vibrazioni ritmiche della forma, sottolineano lo struggente desiderio di Guadagnucci di sdoganare la pietra dalla sua naturale pesantezza.
Come per restituirgli il suo respiro cosmico, e farla approdare a contesti dove spazio e tempo non solo non sono più misurabili, ma neppure hanno più nemmeno un senso, se non quello che la disposizione formale dell’immagine porta con sé.

Fin dalle origini della sua lunga stagione parigina, Guadagnucci placa il suo iniziale disorientamento nel lavoro e nel quotidiano rapporto con il marmo, e proprio grazie a questo ancoraggio riesce a mettere ordine fra i numerosi stimoli, contraddittori e a volte anche contrastanti, che gli arrivano da ogni parte.

Per capire la sua scultura occorre ripartire da qui: dalla lucida intenzione di un uomo senza tempo, solitario come lo sono sempre stati gli scultori, che aspira a condensare il suo sentimento delle origini nel senso della storia, per dare corpo a una scultura capace di tenere insieme l’immaginazione della forma e la creazione dell’oggetto.

Non c’è differenza per Gigi Guadagnucci tra fare in grande e fare piccolo. La naturale monumentalità delle sue forme regge benissimo il confronto con lo spazio anche nel piccolo formato: perché è l’equilibrio interiore della scultura, che si basa su entità sottilissime e misteriose, a definire il contesto esteriore, qualunque sia il rapporto di scala con la realtà.

Anche quando il riferimento alla natura si fa più preciso e puntuale, come nel caso delle Rose, delle Magnolie e più in generale dei Fiori, sarà sempre il marmo a dare la misura, oltreché il corpo, della scultura, a permettere lo sviluppo dinamico delle forme.

La purezza della pietra conferisce rigore alla linea e fermezza al disegno, delimita la tenuta della materia nello spazio, evita ogni ingerenza esterna, ed esalta la rigogliosa luminosità interna del marmo.

Una rosa è una rosa… ma è anche una scultura, che nel suo sviluppo formale, scandisce i volumi, senza perdere l’eleganza del disegno, e affida la saldezza delle forme alla sapida delicatezza delle superfici.

Anche in questo caso Guadagnucci non copia la natura, semplicemente gli ruba un suo intimo segreto, e per il resto si accontenta di imitarla.

Guadagnucci riesce a dare corpo, e quindi massa e volume, a immagini soffici e vaporose come quelle del Gufo e del Gallo.

La forza della scultura non è mai infatti solo una questione di linee e di volumi, quanto piuttosto di tensioni interne alla materia e di articolazione delle forme nello spazio, e perciò di equilibri e di ritmi.

Argomenti del sito: 
Data ultima modifica: 
Lunedì, 21 Dicembre, 2020